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Su quel legno i malati aprono la strada ai sani
inserito il 19.08.2010
Il sacramento della Confessione e quello dell’Unzione degli infermi al centro della seconda giornata di pellegrinaggio.
Protagonisti i malati. Piantata, come segno, la croce della nostra diocesi.
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La ricchezza di un’intera giornata di pellegrinaggio a Lourdes non può essere contenuta in questa paginetta in cui il vostro modesto cronista cerca di condensare con qualche parola e con alcune immagini (grazie a una fotoreporter di eccezione, Ilaria Cavaliere, che a volte sembra toccata dal dono della bilocazione) quel che gli è rimasto impresso nella memoria e quel che ha sentito raccontare da altri. La giornata di martedì ha messo al centro chi, come abbiamo già scritto più volte, è il vero protagonista di Lourdes: i malati. Il che ha dato spunto al nostro vescovo per continuare la sua catechesi sul segno della croce affrontando il tema, appunto, della croce di Cristo. In mattinata si è tenuta, dentro una delle enormi chiese costruite negli ultimi decenni in questa cittadella della fede, una cerimonia penitenziale per introdurre al sacramento della Confessione, riservato anzitutto ai malati stessi (a scanso dell’equivoco vulgato secondo cui “i peccati” sarebbero appannaggio dei giovani e forti. Una stupidaggine che ignora l’essenza della questione: peccato è vivere qualsiasi cosa, qualsiasi respiro, come se si fosse artefici della propria vita in solitudine, fuori dal rapporto con Chi ci fa e fa tutte le cose; e quindi viverla male). Poi, nel pomeriggio, in un’altra basilica (sotterranea, dedicata a san Pio X), la “strana” cerimonia centrata su un altro sacramento, l’Unzione degli infermi, impartito a tutti malati del pellegrinaggio dicoesano. Al termine, in processione, ci si è recati in un campo (sempre nel recinto sacro di Lourdes) dove quest’anno tutte le diocesi che hanno pellegrinato a Lourdes sono state richieste di piantare una croce (la vedete nella foto principale) in ricordo del loro passaggio. “Strana”, abbiamo scritto, perché anche qui la vulgata vorrebbe il sacramento dell’“Estrema Unzione” riservato ai morenti. E invece si va riscoprendo da tempo nella Chiesa il vero valore di questo gesto sacramentale, che ha lo scopo di aiutare a vivere la malattia come tale (raffreddori a parte…). Avendo visitato per lavoro alcuni Paesi musulmani, ci è venuto subito un paragone con quel che accade in quella cultura, dove il malato, specialmente l’andicappato, nelle famiglie è tenuto nascosto in casa (a volte in condizioni penose, come un carcerato) perché considerato una vergogna da celare. In Giordania, per esempio, scoprimmo che una associazione caritativa della minuscola minoranza cristiana, cui anche alcune famiglie islamiche cominciavano ad affidare i figli sfortunati per alcune terapie, era riuscita a organizzare per le strade di diverse città dei cortei in cui i famigliari spingevano le carrozzelle dei parenti malati; e a poco a poco iniziavano ad aderire anche i musulmani con alla testa gli stessi imam, assieme al prete cattolico, liberandosi con fierezza di un tabù umanamente crudele. Ecco, qui a Lourdes le processioni con i nostri malati sono l’emblema di una cultura che non solo non emargina il malato ma lo mette ostentatamente al centro dell’attenzione, come una figura benedetta, come uno “scelto da Dio”. “Scelto da Dio” è proprio il titolo di un libretto scritto da un “habitué” di Lourdes, Maurice Prétôt, da quasi trent’anni affetto da sclerosi multipla. Un libro di cui il GdP ha già parlato qualche tempo fa. Ora parliamo un po’ con l’autore, anche quest’anno spinto attorno in carrozzella da una delle infermiere che lui definisce, anzitutto, “belle ragazze che ho la fortuna di avere al mio servizio”. «Fu il signor Bisi di UNITAS mi spiega Maurice che mi fece capire che forse io sono scelto per portare la croce insieme a qualcuno che non ce la fa e ha bisogno di aiuto. A me stesso sembro uno che non è più capace di niente. Ma altri, come mia moglie, mi dicono che anche se sono immobilizzato sono in grado di aiutarli con il cuore e con la testa. Ci sono voluti più di vent’anni di malattia per capire qualcosa. Prima mi dicevo “poteva scegliere qualcun altro”… adesso mi ritengo fortunato di essere malato. Per esempio, sono qui a Lourdes e tutti mi servono, sono il “re di Lourdes”». Maurice la butta quasi in burletta, non gli piace mettere le cose in teologia, ma appena può tira fuori di tasca una lettera già sdrucita anche se di pochi giorni fa. Arriva dal Vaticano, ringrazia per l’invio del libro autobiografico. «Sua Santità Benedetto XVI desidera farle giungere l’epressione della sua paterna vicinanza, mentre esorta ad accogliere con rinnovato fervore le inattese grazie che Dio elargisce trasformando gli attuali momenti di prova in una feconda offerta di bene…». Maurice gongola ma non vuole darlo a vedere. Del resto nel suo libro («un libro duro, terribile», mi dice la signora che lo spinge in carrozzella ) si possono trovare frasi come questa: «Dio ci ha scelto protagonisti di un percorso diverso, irto e doloroso, quasi impossibile. Paradossalmente ci ha resi invulnerabili perché nessuno potrà mai staccarci da Lui, nel prima e nel dopo che viene per tutti».
(di Claudio Mésoniat, articolo tratto dal GdP del 18.08.2010)
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