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La confessione
inserito il 23.08.2013
Il tema del giorno.
Quando Paolo VI permise la confessione in forma comunitaria, ricordo come mons. Giuseppe Martinoli la presiedette a Lourdes con grande intensità. Giovanni Paolo II tolse questa possibilità.
Ma è un fatto che la forma abituale, anche per la Chiesa d’Oriente, implica un dialogo personale. Sono rimasto profondamente ferito quando a Lourdes gli addetti chiusero le porte della cappella delle confessioni, quando c’era ancora una folla in attesa. Se non si pone una fine a questo crimine, esso porrà fine a Lourdes. Il nostro pellegrinaggio dà, per grazia di Dio, ampio spazio alla riconciliazione. Si cita il curato d’Ars che a chi si presentava come ateo chiedeva semplicemente di confessarsi; e di fatto si convertì. Le confessioni fatte in serie non sono serie. Il dialogo con il presbitero comporta un certo tempo. Una persona deve poter “vuotare il sacco” e sentirsi compresa, amata, perdonata. A volte questo sacramento è stato immaginato come un “tribunale”, dove ogni minuzia va analizzata e contabilizzata. Ma si pensi all’atteggiamento di Gesù. Egli perdona anche se non ci sono elenchi di peccati, perdona all’adultera, alla prostituta, al mafioso, al brigante. Non è il racconto minuzioso di ogni colpa che porta a contrizione, ma la scoperta dell’infinito amore del Padre che ci aveva già perdonato prima ancora che aprissimo bocca.
Il confessore non è un giudice, ma un fratello, che condivide le nostre fragilità e le nostre miserie e che ci addita un Padre il cui amore per noi può essere definito davvero “pazzo”. Spesso la confessione di Lourdes marca la vita e ci aiuta a passare da una concezione di un Dio terribile e vendicativo a quella di un Padre-Madre che neanche lascia finire il discorsetto del figlio prodigo, ma lo seppellisce in un abbraccio così intenso da durare tutta l’eternità.
(di monsignor Sandro Vitalini, articolo tratto dal GdP del 22.08.2013)
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