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Vedere Cristo nell’umanità ferita
inserito il 22.08.2013
Il primo giorno del pellegrinaggio della Svizzera italiana. I 750 ticinesi sono arrivati nel Santuario francese. Due ospitaliere testimoni del valore inestimabile del servizio ai malati.
Lourdes ha accolto i 750 ticinesi. La cittadina è ancora parzialmente segnata dalle ferite dell’alluvione della scorsa primavera le cui tracce sono soprattutto visibili nel ponte danneggiato e ora in fase di ristrutturazione che separa la Grotta dalla zona dell’ospedale dei malati. Ma l’entusiasmo è comunque tantissimo e i pellegrini numerosi.
L’Anno della fede indetto da Benedetto XVI e ora guidato da papa Francesco dà il tema anche all’approdare di migliaia di pellegrini a Lourdes: “Lourdes: una porta della fede”. Per chi dal Ticino viene qui da tanti anni, come Paola Bazzurri di Fescoggia e Elena Alberti di Mendrisio, entrambe ospitaliere impegnate nel servizio dei malati, 28 pellegrinaggi alle spalle quasi senza interruzione, è importante esserci.
Ci spiega Paola: «Quello che mi fa ritornare tutti gli anni a Lourdes è il grande bene che gli ammalati mi vogliono, quello che ricevo da loro. Si dà tanto, ci sono persone più o meno gravi qui, ma quello che i malati ti donano è 100 volte tanto rispetto a quello che dai tu». «Lourdes mi aiuta tantissimo nella vita di tutti i giorni, qui ricevo interiormente qualcosa di indescrivibile», aggiunge Elena. Nella vita quotidiana Paola lavora in farmacia presso la Clinica Luganese di Moncucco, dunque è una donna pienamente inserita nel campo sanitario, mentre Elena è pensionata. «La vita sul posto di lavoro è frenetica, stressante. Non che la settimana di Lourdes sia vacanza: ti alzi presto, vai a letto tardi, stai tutto il giorno con l’ammalato, consapevole che ogni persona è un mistero grande che chiede ascolto, domanda attenzione costante e impegno. Se però vedi nel malato Cristo da servire, allora tutto cambia». Poi Paola interviene sulla lezione che il mistero del dolore dà alla vita di tutti i giorni. Spiega: «Quando devo fare qualcosa che mi pesa ritorno alla settimana di Lourdes, ripenso ai malati che ho incontrato qui, rivedo tutte le cose che a loro pesano e pesano sempre, senza interruzione. Eppure questi malati hanno sempre il sorriso, anche quelli più gravi: loro leggono la sofferenza nella prospettiva della fede cristiana, la offrono, l’accolgono».
Paola e Elena, in 28 anni di Lourdes, sono anche diventate delle promotrici di questa esperienza soprattutto tra i giovani. «Negli anni abbiamo invitato tanti giovani. Qualcuno continua, molti magari vengono solo per un anno», spiega Elena. Per Paola Lourdes è uno di quei luoghi e di quelle esperienze che più corrispondono all’invito che rivolge costantemente papa Francesco alla Chiesa: aprirsi alle periferie. Mi spiega: «Uscire fuori, andare in periferia come dice Francesco, evangelizzare per me è anche cercare di invitare più gente possibile in questi luoghi di carità. Noi due l’abbiamo già fatto in questi anni. La maggior parte dei giovani che sono qui invece di andare sotto l’ombrellone in spiaggia viene a fare servizio».
Ma la fede a Lourdes si rafforza o no? «Lourdes incide tantissimo sulla mia fede – continua Paola – anche se qui è tutto facile, tutti la pensano come te. Io vado a Lourdes per ricaricarmi, per trovare la forza di affrontare le situazioni della vita di tutti i giorni, quelle belle e quelle meno belle che arrivano e lasciano il segno».
Lascio Paola e Elena ai loro impegni. Ripartono per qualche servizio tra le corsie dell’Ospedale interno al Santuario dove da ieri, sono amorevolmente assistiti da tante altre Paola e Elena i 93 ammalati del nostro pellegrinaggio.
(di Cristina Vonzun, articolo tratto dal GdP del 21.08.2013)
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