Attualità e Notizie

«La cura dell’ammalato è nell’essenza della Chiesa»
inserito il 15.08.2010

Alla vigilia del 53esimo pellegrinaggio diocesano alla celebre grotta, proponiamo una riflessione che il vescovo Eugenio Corecco offrì ai fedeli luganesi proprio in quel luogo, il 25 agosto 1994, 5 mesi prima della sua morte, sul tema dell’Unzione degli infermi.

Cari fratelli e sorelle nel Signore, ciò che stiamo compiendo in questo rito, in cui riceviamo l’Unzione degli ammalati, ha una storia lunghissima, che risale al tempo degli Apostoli. Le prime comunità hanno infatti cercato di capire quali sarebbero state le conseguenze, nei rapporti tra i cristiani, della comune fede in Gesù Cristo e hanno tradotto questi rapporti in gesti liturgici e caritativi. Hanno così istituzionalizzato l’intuizione avuta, dopo aver meditato sulle parole di Cristo, nelle Beatitudini: “Beati gli afflitti, perché saranno consolati”. San Giacomo, di cui abbiamo letto il brano, tratto dal capitolo 5 della sua lettera, un giorno scrive ai cristiani: “Se qualcuno è ammalato tra di voi, chiami a sé i presbiteri e preghino su di lui dopo averlo unto con l’olio, pregando il Signore. La preghiera fatta così con fede salverà il malato, il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati gli saranno perdonati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza”. Questo è un fatto nuovo nella storia dell’umanità. Al capezzale degli ammalati sono sempre accorsi gli uomini della medicina, ma in genere non gli uomini del sacerdozio. Sappiamo benissimo che gli ammalati, in tante culture, erano separati dalle comunità e abbandonati a loro stessi. San Giacomo capisce che non si può vivere in questo modo e ha l’intuizione di convocare, attorno agli ammalati, i presbiteri con la comunità dei cristiani, per significare che la Chiesa deve farsi carico delle persone che, nel suo seno, sono ammalate. Questo fatto nuovo nella storia dell’umanità è un gesto bellissimo, che si può compiere solo se si prende sul serio l’invito di Cristo di consolare gli afflitti: “Beati gli afflitti perché saranno consolati”. E questo è diventato il Sacramento degli ammalati. “Dopo averlo unto con olio nel nome del Signore l’olio era ritenuto un medicamento generale, che leniva comunque tante sofferenze fisiche preghino su di lui”. Chiama a raccolta per riunirsi attorno all’ammalato, i presbiteri e tutta la comunità, perché si prendano carico di lui, lo ungano con l’olio e preghino con lui, poiché “la preghiera fatta con fede salverà l’ammalato”. Il Signore lo rialzerà e “se ha commesso peccati, gli saranno perdonati”. Lo salverà, dandogli fiducia: il malato si sente ancora utile, appartenente a qualcuno, non abbandonato. Questo è il primo segno della salvezza, che può tradursi anche in guarigione. Sappiamo benissimo che la preghiera per gli ammalati, e Lourdes ne è la prova, può tradursi anche in grazie speciali, se non addirittura in miracolo. Questo fatto appartiene tipicamente alla cultura dei cristiani, che, da subito, hanno preso a carico i propri ammalati, in tutte le comunità. È quello che stiamo compiendo in questo momento, dando forma esplicita a ciò che San Giacomo, fin dall’inizio, ha raccomandato ai cristiani di fare. Dobbiamo quindi prendere coscienza di non compiere un semplice rito, che potrebbe anche non esistere, ma uno dei sette Sacramenti, che appartengono ai gesti fondamentali della vita del cristiano e della vita della comunità cristiana, assieme ai battesimo, alla Cresima, all’Eucarestia, al Matrimonio, assieme a tutti gli altri Sacramenti. C’è anche un Sacramento quindi che, non solo accompagna l’avvenire delle singole persone, ma che accompagna anche le persone provate dalla sofferenza e magari vicine alla morte. È già una grande consolazione sapere queste cose e rendersi conto che la Chiesa, cioè la Comunità di tutti i cristiani, ha il dovere, che nasce dalla sua natura stessa, dal suo esistere stesso, di occuparsi delle persone ammalate. Questa preghiera, questo olio versato sugli ammalati hanno un potere redentivo, salvano i cuori degli uomini, promuovono conversioni interiori, provocano lacrime di dolore per i nostri peccati, consolano, ci aiutano ad accettare la malattia e pure la morte, magari ci danno anche il dono della salvezza fisica. È difficile dire qual è il Sacramento, dopo l’Eucaristia, che dovremmo avere più caro, ma questo tocca le corde più profonde della nostra umanità, dell’uomo, che vive bene quando è sano, ma che vive nell’angoscia, quando è ammalato e intravvede che potrebbe anche essere vicina la sua morte. Questo Sacramento esprime la carità della Chiesa, la vostra carità nei confronti di tutte le persone ammalate. E la carità è l’apice dell’esperienza cristiana; tutto quello che facciamo e ci diciamo deve sfociare nella carità vicendevole, nella comunione. È un Sacramento che, se vissuto veramente bene, esprime l’essenza stessa della Chiesa, la ragione ultima per cui la Chiesa esiste: quella di perdonare i nostri peccati. “Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti”. (...) Vi rendete conto di quanto sia grande la consolazione della persona, sentendo che gli altri pregano per la sua salvezza, del corpo e dell’anima. Personalmente sto facendo largamente questa esperienza. (...) È la cosa più grande che dovremmo riuscire a fare nella vita, perché la morte ne è il momento più importante. Dovete diffondere il significato di questo Sacramento tra i cristiani, perché lo stiamo riducendo a un breve rito, fatto quasi di nascosto, all’ultimo momento, per non incutere paura all’ammalato, mentre è il Sacramento che dovrebbe aiutarlo ad assumere consapevolmente la sua situazione. Noi invece l’abbiamo stravolto. Dobbiamo recuperarlo fino in fondo nelle nostre comunità e partecipare alle Unzioni degli infermi, amministrate in parrocchia. Ma per partecipare con legittimazione, dovremmo essere stati attenti prima a questi ammalati, sostenendoli, visitandoli, intervenendo in loro aiuto. (...) Al termine di questa liturgia ìn cui abbiamo celebrato il Sacramento dell’Eucaristia e dell’Unzione degli Infermi desidero ringraziarvi tutti per l’incessante preghiera che fate per la mia salute: mi sento molto privilegiato. Ma vi raccomando di non dimenticare tutti gli ammalati che abbiamo qui in mezzo a noi. (...) Vi raccomando di pregare per tutte le persone che si sono affidate alle vostre preghiere, perchè è facile che ce ne dimentichiamo. Lo ricordo spesso nei pellegrinaggi, perché anche noi ci raccomandiamo agli altri, prima che partano per un pellegrinaggio. La preghiera è il modo più profondo per entrare in contatto tra noi cristiani; nel Corpo Mistico dì Cristo, di cui noi facciamo parte, la preghiera vicendevole è il momento di comunicazione più profondo e più sicuro.

(notizia tratta dal GdP del 14.08.2010)



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